Tante idee ed entusiasmo, tanta paura; eppure ci sentivamo il futuro in tasca, cosa che oggi non avviene a chi abbia poco più di vent’anni. Siamo stati molto fortunati, a cominciare dal percorso di studi e dai nostri insegnanti: Giovanni Urbani, Paolo e Laura Mora, Alma Maria Tantillo, Mara Nimmo, Marisa Laurenzi Tabasso, Maurizio Marabelli; e poi Michele Cordaro, Rosalia Varoli Piazza, Giuseppe Basile. Il nostro cantiere didattico, lungo tutti i quattro anni di corso, la Basilica di San Francesco ad Assisi, tra Simone Martini e Giotto. Era appena nato il Ministero per i Beni Culturali.
E il nome dell’impresa non è certo casuale; più tardi, in un momento di particolare sconforto per la politica del Ministero stesso, guardando all’attività svolta, abbiamo pensato di cambiare il nostro nome in ROAR Restauro Opere d’Arte che sembrava più rispondente al reale, oltre che un po’ più aggressivo.
In tutti questi anni c’è chi è rimasto, chi ha scelto altre strade, chi si è aggiunto. Tanti restauratori hanno iniziato la loro professione condividendo un pezzo di strada con noi.
Mettendo ordine nel cantiere di Assisi in vista di un sopralluogo del Dott. Urbani, ci si accorse di un barattolo di vetro a chiusura ermetica che, contenendo Paraloid a concentrazioni ormai spropositate, aderiva perniciosamente ad una palanca.
Uno dei futuri soci, con un amico, fu incaricato da uno dei responsabili del cantiere di eliminare l’odioso inconveniente, staccando il barattolo dal ponte. Vi si accinsero con lena, ingegnandosi con iniezioni di solvente tra vetro e legno; dopo molto lavorare, guardatisi negli occhi, trovarono più conveniente girare la palanca e lasciar pendere il barattolo.
Trassero dall’episodio utili insegnamenti sulla inanità degli umani sforzi, sulla reversibilità dei materiali di restauro, nonché sull’essere il restauratore principalmente un ricercatore di espedienti.
Due dei futuri soci fondatori, trovandosi nella zona di Pordenone per operazioni di pronto intervento dopo il disastroso terremoto, riempivano di velatino e Paraloid i dipinti murali del Friuli, secondo lo schema operativo “vela, puntella e vai” messo a punto dal restauratore Peppe Moro.
Trovandosi un giorno in visita al cantiere di Villuzza, diretto dalla restauratrice Mara Nimmo, ebbero alcune illuminazioni riguardanti il mai risolto dualismo tra restauro attivo e restauro contemplativo.
I due pezzi di velatino, provenienti l’uno da Pordenone, l’altro da Villuzza, non sono che segni di quelle due anime del restauro, che entrarono ambedue nella nostra formazione, insegnandoci l’una che a volte si può agire prima di ragionare, l’altra che spesso conviene ragionare senza agire. Alla mediazione tra queste due anime lavoriamo appunto da sempre.
Lavorando alcuni futuri soci con altri amici in Pistoia, posero una bottiglia di vernice Mat sul davanzale del Palazzo Comunale, perchè la cera si sciogliesse al sole.
Ma la bandiera del Comune, sospinta dal vento, carpì la bottiglia e la mandò ad infrangersi sul grande stemma di arenaria; il contenuto, consolidate le palle dei Medici, verniciò poi la macchina del Gori, impiegato in quello stesso Comune.
Armati di Diluente Nitro e cotone idrofilo, due di loro scesero e iniziarono con grande professionalità a sverniciare la 500. E’ pur vero che la macchina risultò alla fine lievemente opacizzata e con qualche fastidioso pelo di ovatta, ma il Gori, per la maggior gloria del Museo, se ne andò contento e i futuri soci fortificarono i loro animi di fronte al disastro.
Memori dell’insegnamento dell’Istituto, i soci posero fin dall’inizio particolare attenzione ai problemi della documentazione. Presi da formidabile furore documentario, fotografavano ed eternavano ogni più piccola grinza dell’opera, fornendo agli archivi delle Soprintendenze materiali di eccezionale interesse, oltre che di alta godibilità.
Nell’archivio della CBC sono conservate alcune foto estremamente significative: esse hanno in particolare la positiva qualità che, essendo totalmente irriconoscibile l’oggetto di cui trattasi, possono essere utilmente riciclate in diverse occasioni.
Ma più ancora si misurarono con la documentazione grafica, secondo autorevoli fonti assai più oggettiva e scientifica di quella fotografica.
Tra i tanti conservati, si mostra qui un grafico tra i più significativi, espressamente richiesto dalla committenza (che tra parentesi ha sempre ragione) in scala 1:1 e diligentemente eseguito in quel di Assisi, e ivi messo in bella con qualche difficoltà nella casetta presso la porcilaia di Petrignano: esso si rivela in particolare assai apprezzabile per leggibilità e maneggevolezza.
Molto si potrebbe dire sulla professione del restauratore, tecnico specializzatissimo, esperto in molti rami dello scibile umano, artigiano infine senza strumenti propri dell’arte sua.
Chi pensa che fare il restauratore voglia dire lavorare sempre al massimo delle sicurezza e del confort non ha mai fatto un’esperienza in CBC, dove con neve, sole, vento, pioggia e tanta ironia abbiamo lavorato ottenendo il massimo risultato con i mezzi via via a disposizione.