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L’incidente a Santa Bibiana

11 Mag. 2018

Qualche riflessione di Giovanna Martellotti

Ora che l’anulare di Bibiana è stato rimontato al suo posto, ridimensionando in qualche misura l’indiscussa gravità dell’incidente occorso nell’ultimissimo atto della ricollocazione sull’altare della scultura, provo ad inserirmi, con un ragionamento da restauratore informato dei fatti, nel dibattito che da quell’incidente è scaturito.

Direi che il restauratore, e ancor peggio il restauro come professione, è oggi tra le prime vittime di un sistema che vede nelle mostre la fonte principale di fondi per gli interventi: è abbastanza evidente infatti che ne derivano restauri non necessari dal punto di vista conservativo, reiterati sui capolavori a troppo poca distanza di tempo, spesso affrettati e dunque poco ragionati. Ritengo però che il recente restauro della Santa Bibiana non rientri nella casistica descritta: la Direzione della Galleria Borghese, che l’ha offerto a fronte del prestito, ha immaginato fin dall’inizio l’intervento come occasione di studio oltre che quale miglioramento della godibilità dell’opera; lo ha affidato non tanto alla CBC quanto alla restauratrice della CBC che, già nei restauri di gran parte dei Bernini borghesiani, svoltisi tra 1996 e 1998, aveva attentamente documentato i segni degli strumenti di lavorazione, le tracce delle calcature, l’entità e il senso del non finito berniniano. La messe dei dati, raccolti secondo un protocollo condiviso poi con gli altri restauratori intervenuti sulle opere confluite nella mostra Bernini scultore. La nascita del barocco in casa Borghese (1998), è stata pubblicata in un volume specifico a cura di Anna Coliva (Bernini scultore. La tecnica esecutiva, Roma 2002), corredata da un’accurata disamina dei documenti dell’Archivio Borghese su spostamenti, danni e restauri. È dunque evidente l’interesse scientifico di poter raccogliere dati omogenei anche sulla prima opera religiosa e architettonicamente contestualizzata del Bernini, così vicina, quando non contemporanea, alle opere di casa Borghese.

Un restauro non inutile dunque, che ha visto una proficua collaborazione tra restauratori, funzionari della Soprintendenza, della Galleria, del Vicariato, e ha condotto a risultati importanti, che saranno a breve oggetto di pubblicazione, dopo la parziale presentazione nella giornata di studio tenutasi alla Borghese il 22 gennaio. Si è innanzitutto chiarito che l’opera, lungi dal non esser mai stata cavata dalla nicchia sull’altare, ne era sortita già almeno due volte, venendo poi rimontata sulla sua base in una posizione non corretta.

D’altra parte qualsiasi restauratore che operi in Italia sa che è molto difficile trovare un’opera, e ancor più un capolavoro, che non abbia già subito manomissioni, smontaggi e rimontaggi, restauri d’integrazione e puliture più o meno improvvide, come è infatti capitato anche alla nostra scultura. Così rimango ammirata dalle certezze di Marcello Castrichini, il restauratore che intervenne sull’opera e sull’altare nel 1997, talmente convinto di trovarsi di fronte ad un Bernini perfettamente intatto che trovò perfino “la polvere di marmo del trapano all’interno dei fori nella zona delle foglie in basso” (https://www.aboutartonline.com/2018/05/03/ ), fortuna che in tanti anni non mi è mai capitata.

Il restauratore è peraltro assolutamente consapevole che qualunque spostamento, smontaggio, trasporto, comporta un margine notevole di rischio, sia per esperienza diretta sia per averne riconosciuto gli effetti su gran parte delle opere che ha restaurato.

Sa anche che il rischio non è affatto direttamente proporzionale alle dimensioni e al peso dell’oggetto, avendo visto danni gravissimi su oggetti piccoli e leggeri e trasporti perfetti di statue monumentali, così che, volendo aderire al principio della “non trasferibilità” proposto da Alessandro Zuccari, si troverebbe a chiederla totale e senza eccezioni, cioè improponibile.  Per esperienza poi sa che i trasporti per le grandi mostre sono in genere affidati a imprese molto specializzate e che statisticamente sono molto più rischiosi gli innumerevoli spostamenti di minore entità all’interno di un museo o ancor più di una chiesa, affrontati spesso senza alcuna cautela o conoscenza tecnica.

Come diceva la mia Tata di Rancolfo “i piatti li rompe chi li lava”, e così per finire esprimo tutta la mia comprensione e solidarietà ai trasportatori della Santa Bibiana, che ci hanno aiutato con straordinaria competenza oltre che con pazienza notevole, nelle operazioni di rotazione e raddrizzamento della statua. Hanno poi rimontato la statua sull’altare, facendola scivolare dolcemente sulle tavolette saponate, secondo il metodo tradizionale già usato per lo smontaggio; la Santa era al suo posto nella nicchia, nella posizione studiata, non più costretta a sostenere il peso della colonna sbilenca, e forse tutti si sono finalmente rilassati, dopo tanta tensione. Facendo leva sulla base per togliere la prima delle due tavolette, un movimento appena più ampio del necessario ha fatto sì che l’esile anulare toccasse la cornice.

http://- https://www.aboutartonline.com/2018/05/13